
È mia abitudine cercare sempre le cose nei posti sbagliati. La pace nella natura, la marmellata nel barattolo appena finito, le mie scarpe nella scarpiera, il tempo nell’orologio da taschino di mio padre e quello che mi manca nelle altre persone.
Negli altri ho a lungo cercato la tenerezza, consigli, pareri, pensieri più profondi dei miei e pensieri più leggeri. Ho spesso trovato, risposte incomprensibili, strane affermazioni, consigli non richiesti e un profondo senso di realtà.
Questo mio tipo di ricerca è talmente frustrante che mi ritrovo sempre sfinita. Alcune volte mi arrendo, e finisco per decidere di non voler cercare più niente dove so che non lo troverò.
Mi sono allenata talmente tanto in questo esercizio che spesso finisco per cercare le cose esattamente nel posto in cui sono: i miei difetti allo specchio, le mie scarpe sotto al letto, le matite tra i pennarelli e i maglioni sulla sedia. Puntualmente, la ricerca svanisce e io trovo tutto. Trovo con estrema sicurezza l’evidenziatore giallo tra gli altri nel mio astuccio. Trovo l’unico rossetto che mi sta bene al primo colpo tra la decina di rossetti sparsi per casa. Trovo perfettamente, anche al buio, i calzini appaiati e le mie decisioni, pronte all’uso, nella mia testa.
Mi sono chiesta in questi giorni se questo può bastarmi. Mi basta davvero sapere dove stanno le cose per dirigermi sicura a cercarle lì dove sono? O è la ricerca che mi serviva?
Forse ho bisogno di fingere di non conoscere l’esatto posto delle cose per poterle perdere, per perdermi con loro, e per costringermi poi a cercare anche me.
Perché io non ho mai messo le scarpe nella scarpiera, o i maglioni nell’armadio. L’orologio da taschino di mio babbo, che so benissimo essere in realtà del mio bisnonno, è da circa un secolo che non segna più l’ora corretta. Io so benissimo che lascio le matite tra i pennarelli, che le persone non mi risponderanno mai con la risposta che spero e che nessun consiglio sarà mai preso da me realmente in considerazione.
Eppure alcune volte in questo pensiero mi ci fingo e aspetto qualcosa di nuovo. Aspetto di trovare qualcosa dove so che non c’è, e spero con tutta me stessa di ritrovarmi, una volta persa, in un posto nuovo, mai sperimentato o atteso.
Temo adesso che questo gioco a cui mi costringo, questo gioco di stupore a cui sottopongo la realtà, non valga lo spazio di tristezza e delusione al quale ogni volta mi abbandona.
Quindi, dando conforto ai miei sforzi, smetto di cercare quello che so non esserci dove non è. Sperando segretamente di avere, un giorno, il coraggio di intraprendere nuovamente una mia bizzarra ricerca. E finalmente scoprire, con serenità, che l’orologio da taschino del mio bisnonno segna imperterrito, da più di un secolo, l’ora esatta due volte al giorno.
Sempre erroneamente vostra,
Caterina