
La signora Carla non aveva amato tanti uomini. L’unico che amò davvero le causò un forte e cronico mal di schiena.
Era un banalissimo martedì mattina, la sinora Carla assonnata si era diretta in cucina, quando lui, senza darle il minimo preavviso, le disse che la loro relazione non aveva speranza di continuare.
Per giustificare la sua decisione, aggiunse che anche lei doveva essersene accorta e, dopo averle elencato tutta una serie di problemi irrisolvibili, si diresse in camera, prese una valigia già pronta e se ne andò.
La signora Carla rimase seduta al tavolo della cucina, impassibile. Non era riuscita, con il corpo e con la mente, a seguire i frettolosi movimenti di lui. L’aveva però accompagnato con lo sguardo fino alla porta.
Nella mano sinistra stringeva ancora la tazza con il tè. Nella destra teneva un biscotto. Metà biscotto a dir la verità. L’altra meta giaceva sul fondo della tazza.
Non era riuscita a dire niente. Tutto era accaduto così velocemente che non ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa dire. Questo non le capitava quasi mai. La signora Carla era famosa per sapere sempre usare le parole corrette nei tempi corretti. Era riuscita ad urlare in tempo “Attento!” al suo amico del liceo, che poi, si era rotto il naso per non aver fermato in tempo la palla. Anticipava sempre la cassiera del supermercato con un sonoro “Bancomat” e recitava sempre ad alta voce le battute dei suoi film preferiti, un secondo pima degli attori.
Dopo qualche minuto, l’immobilita causata dallo shock iniziò a darle un sonoro prurito lungo gli arti. Sentì il bisogno di alzarsi ma riuscì solo a posare il biscotto. Iniziò ad accumulare tensione in tutto il corpo, come un oggetto a cui si carica la batteria. Solamente dopo qualche ora, per lo sforzo intenso causato dal solo pensiero del movimento, si alzò di scatto dalla sedia. Urtò il tavolo, che assisteva silenzioso allo spettacolo della mattina, e rovesciò il tè con i resti del biscotto, ormai poltiglia.
Solo a quel punto, dopo essersi alzata, iniziò ad accusare un dolore alla schiena all’altezza delle costole. Il dolore sembrava essere muscolare, come uno di quei dolori da contrattura che ti impediscono di respirare profondamente. Partendo dal costato, il dolore si dirigeva alle spalle irrigidite, fino ad arrivare al collo e proseguire sulla fronte.
Il dolore cresceva, le martellava le tempie e non la lasciava dormire. In verità la signora Carla in quei giorni non riusciva a fare quasi niente. Non riusciva a mangiare, il solo atto di muovere la mandibola le causava fitte tremende. Non poteva leggere, a causa del dolore alla testa che si scatenava al solo scorrere degli occhi lungo la pagina. Non poteva fare la doccia, impossibilitata com’era a muovere le braccia. E ovviamente non poteva vedere nessuno, non in quello stato.
Come tutte le cose, però, il dolore non era destinato a durare per sempre. La signora Carla lo sapeva fin dai primi giorni. Con il tempo, infatti, quel dolore lancinante che l’aveva costretta a letto a deperire, si tramuto in fastidio. Il fastidio che provava ogni volta che vedeva la tazza di lui sulla mensola della cucina, il fastidio che sentiva, nello stesso punto da dove era partito il dolore, ogni volta che trovava una sua veccia maglietta dimenticata in un cassetto. Il fastidio che sentiva quando notava il suo spazzolino ancora nel bicchiere in bagno.
A quel punto la signora Carla riusciva di nuovo a mangiare, a leggere, a lavarsi e a vedere le sue amiche, ma niente di tutto ciò avveniva senza fastidio. Mangiava male, infastidita dall’aver notato un suo calzino sotto al divano. Leggeva male, trovando tra le pagine parole che lui aveva pronunciato. Si divertiva poco con le amiche, trovando sempre fastidiosa la domanda ricorrente “Come stai?”, che loro le ponevano ogni dieci minuti, forse spaventate dal suo sguardo assente.
Nonostante il fastidio causato dagli oggetti e dalle parole, la signora Carla non spostava niente, continuava a leggere i sui libri e a rispondere “Bene” alla fatidica domanda, riposizionando la sua mente sulla conversazione in corso.
Tutto doveva scorrere uguale, tutto doveva restare al suo posto e tutti dovevano fare finta di niente. Perché tutto doveva essere in ordine, nel caso in cui lui fosse tornato.
Niente doveva cambiare, nel caso lui si fosse ricordato dello spazzolino lasciato indietro, nel caso si fosse accorto del calzino spaiato e nel caso gli fosse venuta voglia di recuperare la vecchia maglietta, rimasta in fondo al secondo cassetto dell’armadio.
L’immobilità e la solitudine a cui la signora Carla si costrinse e costrinse tutti, dopo la partenza di lui, fu la tipica solitudine di chi attende. Una solitudine, talmente dolorosa che riesce quasi a farti compagnia, che diventa un posto sicuro, casa e abitudine.
La signora Carla non ebbe più il piacere di condividere la colazione a casa con nessuno. Non butto mai via lo spazzolino, non spostò la tazza dalla mensola, non rimise mai a posto il calzino e conservò la maglietta nel secondo cassetto. Non si pose mai il problema di riordinare, sostare o cambiare le cose.
Attendendo immobile il ritorno di lui, non trovo rifugio in nessun altro, perché era l’attesa la nuova compagna.
Sempre fermamente vostra,
Caterina
