
Eccomi di nuovo qui, su questi schermi, riemergendo a fatica da un periodo intenso di studio, esami, schiaffi, colloqui, lezioni, compleanni, batoste e impegni vari.
In questo lungo periodo di latitanza, ho pensato molto al futuro di questo “posto” e a come poterlo gestire al meglio anche in momenti difficili. La riflessione nasce da due motivi principali: primo, non so quanto tempo avrò nei prossimi mesi per mantenere attivo il blog. Secondo, durante questa lontananza forzata dai miei passatempi, mi sono accorta che non tutto mi è mancato allo stesso modo.
Non mi sono mancate le foto, i video, il montaggio, l’editing, la musica e la grafica. Non mi è mancata l’ansia da prestazione, quella della pagina vuota, la paura di scrivere male e la sicurezza di scrivere davvero male.
Quello che mi è mancato, in modo viscerale, è la scrittura.
Mi è mancato l’ordine tra i pensieri, che la scrittura è capace di darmi. Mi sono mancate le parole, le virgole, le lunghe frasi senza fine, il non sapere come usare il punto e virgola e tutte le cavolate che scrivo. Mi è mancata la ricerca dei sinonimi, gli avverbi divertenti con cui concludere gli articoli, e gli elenchi infiniti e ingiustificati come questo.
Spesso ho pensato di dover fare tutto per “essere qualcosa”, rischiando poi di trovarmi, come è successo, a non fare niente. Dovrei rallentare? Fermarmi? Camminare all’indietro? A zig zag? Correre più forte? Sfidare il vento contrario o vedere dove mi porta?
Quante cose sono passate nella mia testa in questo mese! Quante volte mi sono detta “devi lavorare di più”, “devi essere più attenta”, “devi usare meglio il tempo”, “devi essere più presente”, “devi essere di più”. Mai una volta che la mia testa si conceda di portarmi in un’isola felice e calma, dove non esiste più quello che “devo fare”, ma dove si trova spazio per quello che “voglio fare” e che “mi sento di fare”.
Come se sentire qualcosa in questo frastuono fosse facile. Mentre corro, mi si tappano le orecchie, la gola si stringe e si appanna la vista. Mi si appesantiscono le gambe, la schiena si irrigidisce, le caviglie vacillano e i pugni si stingono. Come faccio a sentire quello che “voglio”, se sono impegnata a rincorrere quello che “devo”, e a sopravvivere mentre lo faccio. Come faccio a sapere cosa è giusto scegliere, e a sapere se poi non cambierò idea. Se mi pentirò, se la mia scelta sarà definitiva, o sarò costretta ad inginocchiarmi nuovamente difronte ai cambiamenti della vita. Chi se la sente di decidere per me?
Io intanto riprendo in mano le mie dita e la mia tastiera (le dita erano già sulla mano ovviamente, era un’espressione figurata. Io sarò anche arrugginita ma voi siete più intelligenti di così) e vediamo dove andrò, dove andremo, volta per volta, settimana dopo settimana, ora dopo ora.
Se la strada non la conosco, che si fa? Si va alla cieca, si spera che qualcosa ci sia, si naviga a vista, si cerca di avere fede. Provando a ricordarci sempre cosa ci manca davvero, quando la vita ci costringe a mollare tutto.
Sempre fiduciosamente vostra,
Caterina